MA DAI, LA NORVEGIA

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Ma dai, la Norvegia!

600px-therese-joahug-vincitrice-finalclimb-al-tour-de-ski2016-val-di-fiemme-fonte-fiemmeworldcup-comCerto che lo sci di fondo si fa notare anche quando non vorrebbe. E non dovrebbe. L’estate entrava nel caldo afoso di luglio quando la notizia della positività di Sundby, e della successiva squalifica, ha raggelato gli animi di tutti quanti, mandando nell’imbarazzo l’intero ambiente. Il numero uno della stagione e il capitano della nazione trainante devono rappresentare i fari del movimento, devono essere impeccabili e, soprattutto, imbeccabili.

Ma l’estate passa, e con essa anche la memoria breve, tanto che nessuno (o quasi) si ricorda più della triste vicenda, quando taaaccc, arriva la seconda bomba. Johaug positiva.

No dai, ditemi che state scherzando. Volete dire che la nazionale più forte di tutto l’emisfero nordico, la squadra che detta legge in pista e fuori, la nazione che spende più di ogni altro in ricerca e sviluppo, il team che ha lo staff medico che potrebbe girare le scene di CSI e Criminal Mind, sì proprio loro, sono inciampati in una crema da labbra per curare l’herpes della Teresina? Ma dai. Labbra screpolate e bruciate dal sole che richiedono un intervento medico.
Resto basito, ma io mi fido. Io ci credo. Perché secondo me è andata proprio così come ha detto la Johaug, cioè io credo nella buona fede dell’atleta, ma questo è un giudizio personale. Una semplice opinione, intendiamoci, che ha lo stesso valore di quella di chiunque legga queste parole.

E voglio persino resistere alla tentazione di tornare indietro nel tempo, quando alla vigilia dei mondiali di Val di Fiemme del 2003 un calibri da 90 della nazionale norvegese come Thomas Alsgaard si ritirò dall’agonismo (strano, perché poi continuò a competere ad alto livello nelle marathon). E Bente Skari Martinsen che diede l’addio in quella stessa stagione, come un fulmine a ciel sereno. Qualcuno all’epoca aggiunse misteriosamente.

Voglio resistere alla tentazione di pensare che due indizi fanno una prova. E così resisto, ma lasciatemi dire una cosa: non mi interessano processi mediatici che produrrebbero sterili sentenze, ma mi diverte la sensazione di ridicolo e di scenario grottesco che avvolge la nazionale norvegese, protagonista se non di un volontario illecito, quanto meno di imperdonabile leggerezza.

Magari alla prossima occasione, in qualche sala stampa, regaleremo ai colleghi norvegesi alcune confezioni di burrocacao. Sperando che capiscano la battuta.

 

Carlo Brena